martedì 31 ottobre 2017

ottobre 31, 2017

Un Halloween di letture: "Coraline" di Neil Gaiman


Autore: Neil Gaiman
Titolo: Coraline
Edizione: Mondadori, 2016
Tempo di lettura: 4 - 8 ottobre
Traduzione: Maurizio Bartocci

Recensione:

"Delle porte che aveva trovato, tredici si aprivano e si chiudevano normalmente. La quattordicesima, piuttosto grande e in legno marrone intagliato, nell'angolo più lontano del salotto, era chiusa a chiave"
Coraline è un libro molto particolare sotto molti punti di vista. Intanto è uno dei pochi che, nonostante una copertina che non soddisfa per niente i miei gusti, invoglia la lettura senza nemmeno doverlo aprire e sfogliare qualche pagina per farsi convincere.

L'ho scelto come libro a tema Halloween perché nonostante sia catalogato come lettura per ragazzi ha molte caratteristiche che lo rendono una lettura adatta anche e soprattutto per gli adulti.

I temi affrontati potrebbero sembrare banali ad una prima lettura ma credo lascino trasparire qualcosa di molto più profondo che rende questo un libro davvero speciale.

Se pensiamo, ad esempio, che l'altra madre viene battuta proprio sull'unica caratteristica che la rende forte, ossia la certezza di essere imbattibile, ci rendiamo conto che non si tratta di un banale stratagemma per far terminare il libro con un lieto fine.

Coraline è coraggiosa, sì, ma ha anche molta paura che la pietrifica di fronte ad un avversario che è convinta non batterà. Pur essendo insicura, la bambina prova a confrontarsi con questo nemico. La perfezione che l'altra madre pensa di possedere non esiste, sia su un piano universale che relativo: Coraline è imperfetta e vince perché accetta con coraggio l'idea di poter perdere. Arrendendosi, Coraline vince.

Su questo punto Philip Pullman ha speso qualche parola in un articolo molto interessante del 2002 sul The Guardian:
"C'è Coraline, coraggiosa, spaventata, sicura di sé e dubbiosa e finalmente trionfante. Signori e signore, bambini e bambine, alzatevi in piedi e applaudite: Coraline è reale"
Finalmente un'eroina verosimile, aggiungerei.

La narrazione di Gaiman rende tutto, ovviamente, più godibile e magico: ci si sente letteralmente trasportati nel mondo di Coraline e dell'altra madre al punto da voler quasi partecipare alle vicende narrate, essere noi quel personaggio che tanto mette in scena delle paure ordinarie.

L'effetto di molte scene è disarmante, tra cui quella in cui Coraline non riconosce l'altra madre come vera madre. Credo tale gestione della narrazione fosse necessaria per mettere in scena un altro tema molto importante del libro: il desiderio di sentirsi amati.

Gaiman lo affronta da due punti di vista: quello dell'altra madre, che è così attaccata e dipendente  dall'altro al punto che ne ha bisogno per nutrirsi e quindi per sopravvivere. E' una dipendenza malsana e angosciante che il linguaggio evocativo dell'autore rende ancora più agghiacciante. Dall'altro lato, invece, Gaiman mette in scena un'idea di dipendenza sana. C'è Coraline, una bambina con due genitori assenti che supera l'idea di restare da sola. Oserei quasi dire che ad un certo punto la protagonista si rende conto che l'unico modo per salvare i suoi genitori in trappola è agire con le proprie forze, da sola. Li sente vicini anche se fisicamente non ci sono e credo sia proprio questa l'idea sana di indipendenza dall'altro.

Cito di nuovo Pullman nel dire che non c'è un'interpretazione univoca di questo romanzo, "la storia è troppo ingegnosa e sottile per essere catturata nella tela di una sola interpretazione".

L'immaginazionhe di Gaiman è spettacolare e le descrizioni all'interno del libro non fanno che aumentare lo stupore di chi legge pagina dopo pagina. Una volta iniziata la lettura, il lettore apre una strana porta sul muro ed entrandovi, sono certa, rimarrà piacevolmente incastrato nella tela che Neil Gaiman ha sapientemente costruito. 

Spero che la recensione sia stata di tuo gradimento. Ci leggiamo presto, buon Halloween!

Francesca, Le ore dentro ai libri.

venerdì 27 ottobre 2017

ottobre 27, 2017

Le ore dentro al cinema con "Loving Vincent"

Buongiorno lettore! L'articolo di oggi sarà un po' diverso dal solito perché non parlerò di libri bensì di film. Sulla scia di Stefania di CharlotteBooks con la quale mi sono confrontata in via del tutto informale sull'argomento, ho deciso di dedicare anche io qualche riga al film in questione:

Loving Vincent


Sotto la direzione di Dorota Kobiela e Hugh Welchman, prodotto tra Polonia e Inghilterra, Loving Vincent porta sullo schermo il lascito di Vincent Van Gogh al mondo subito dopo la sua tragica morte. 

Se mi segui su Instagram saprai, probabilmente, che sono appassionata di questo pittore, dei suoi quadri e anche della sua vita che li ha costantemente ispirati. Vincent van Gogh amava la vita e forse anche troppo e la sua estrema sensibilità non è mai stata compresa a pieno dalle persone che lo circondavano.

L'espediente narrativo è la consegna di una lettera, un'ultima lettera di Vincent all'amato fratello Theo, finita tra le mani del padre-postino di Armand  Roulin. Armand, giovane e disinteressato alla vicenda van Gogh, inizia un vero e proprio viaggio nella vita del pittore ormai deceduto, scoprendo, quasi come se fosse una conseguenza alla prima morte, anche quella di Theo van Gogh. 

La particolarità di questo film non si trova tanto nella storia, di per sé abbastanza statica, quanto nella tecnica con cui è stato prodotto: ogni fotogramma è stato dipinto a mano riproducendo lo stesso stile pittorico di Vincent van Gogh. Non avrei mai pensato che una produzione del genere potesse rendere tanto bene sullo schermo.

Non sono un'esperta né tanto meno una grande cultrice di cinema, ma anche il più disinteressato degli spettatori riuscirebbe a sentirsi trasportato nell'atmosfera suggestiva che il film dona sin dalla prima scena. 

Grazie a questo tipo di produzione, i dipinti di van Gogh prendono veramente vita e non si tratta, in questo caso, di una frase costruita inserita a caso. Ogni singola pennellata si muove, cambia colore e sfumatura e si adatta all'emotività dei personaggi.

Questi, poi, vengono inseriti magistralmente all'interno di paesaggi conosciuti, già visti, ma che, nonostante gli anni, non stancano mai chi ne fruisce. L'effetto visivo è spettacolare ed ineguagliabile. 

Ho notato, poi, una concentrazione particolare sugli occhi dei personaggi: gli sguardi sono fondamentali in questa storia e sembrano pronunciare parole non dette, forse perché troppo dolorose o perché i personaggi non sanno ancora di doverle dire. Ma il detto, in questo film e nell'idea generale che van Gogh ha costruito con i suoi dipinti, è di poca importanza. 

Come ho anticipato, la storia in sé non mi è particolarmente piaciuta, anche se si è salvata da una grande delusione proprio negli ultimi minuti. L'indagine sulla morte di Vincent che Armand tenta improvvisamente di mettere in atto sembrava dover portare ad un punto imprecisato e rischiava di trasformare il film in una specie di poliziesco molto colorato. Per fortuna, non è stato così. 

Ho apprezzato molto il fatto che la storia di Vincent sia stata affrontata, ancora una volta, da un punto di vista esterno e postumo, come a dire che forse l'unico a conoscere la verità sulla vita del pittore era van Gogh stesso. Affrontare il suo vissuto dopo che questo è stato tragicamente spazzato via con un colpo di pistola, lascia quasi intendere che l'unica cosa, oltre ai quadri, che van Gogh ci ha lasciato è la vita. Nonostante la morte. 

Concludo con un particolare che ha rischiato di farmi scendere qualche lacrima. L'espediente della lettera ha fatto sì che l'inserimento di altri frammenti di lettere scritte dal pittore risultasse perfetto. E' stato molto toccante, infatti, che queste venissero lette ad alta voce e i brividi non potevano che presentarsi sapendo che questa voce era proprio quella di Vincent van Gogh. 

Spero di non essermi dilungata ai limiti della noia, ma di averti ispirato e fatto venire voglia di vedere questo bellissimo film. Io me ne sono innamorata. 

E già che ci sono, visto che di solito parliamo di libri, ti consiglio due letture molto interessanti per approfondire (o iniziare, se non lo hai ancora fatto!) l'argomento Vincent van Gogh:
  • La vedova van Gogh di Camilo Sanchez, edito Marcos Y Marcos. Un racconto di finzione con protagonista Johanna van Gogh-Bonger, moglie di Theo e cognata del pittore e figura fondamentale per l'affermazione di Vincent come pittore. Anche il libro, come il film, affronta il periodo successivo alla morte dei due fratelli per addentrarsi all'interno della loro vita e in particolare in quella di Vincent pittore. Se ti interessa, ho scritto una recensione su questo libro che puoi leggere qui sul blog.
  • Scrivere la vita. 265 lettere e 110 schizzi originali (1872-1890), a cura Leo Jansen, Hans Luijten e Nienke Bakker. Un'unico tomo di più di mille pagine autorizzata dal Van Gogh Museum di Amsterdam in cui sono state raccolte le lettere che il pittore ha scritto ai suoi familiari in poco meno di vent'anni. Il volume è completo di una prefazione in cui viene spiegato non solo il rapporto di van Gogh con la scrittura, fondamentale quanto la pittura, ma anche la sua formazione artistica e umana nel corso di quegli anni.

sabato 21 ottobre 2017

ottobre 21, 2017

Tra parole e immagini: "Assassinio sull'Orient Express" di Agatha Christie


Autore: Agatha Christie
Titolo: Assassinio sull'Orient Express
Titolo originale: Murder on the Orient Express
Edizione: Mondadori, 2017
Traduzione: Lidia Zazo
Tempo di lettura: un volo di ritorno da Stoccolma, 3 ore.

Recensione:

Nel momento in cui ho preso in mano questo libro era quasi un anno che mi ero riproposta di leggere di nuovo Agatha Christie. Ad agosto dell'anno scorso con C'è un cadavere in biblioteca e Miss Marple, la primissima avventura con l'autrice. Quest'anno, invece, ho puntato tutto su un'altra creazione della Christie, Hercule Poirot. E quale modo migliore di iniziare questa nuova avventura se non con uno dei suoi libri più famosi?

Assassinio sull'Orient Express Ã¨ un giallo particolare se si considera alla stregua degli altri romanzi di investigazione scritti da Agatha Christie. Hercule Poirot, investigatore belga dall'aspetto bizzarro e i modi altrettanto fuori dal tempo, si ritrova bloccato sull'Orient Express in direzione Calais in compagnia di apparenti sconosciuti e...un morto. L'investigatore viene incastrato nell'indagine e contribuisce ad evitare complicazioni con la polizia ufficiale. 

Il primo aspetto che colpisce del romanzo è sicuramente la preparazione degli eventi: nelle prime pagine si percepisce già un'atmosfera particolare, importante e molto evocativa. 

La prima parte del romanzo, devo ammettere, è forse fin troppo lineare e a tratti risulta più noiosa della seconda. La causa è, sicuramente, la ricostruzione dei fatti e delle testimonianze dei passeggeri del vagone per Calais. In questa prima parte si nota sicuramente la capacità di Agatha Christie di tenere il lettore incollato alla pagina. La narrazione non cade mai nella banalità o nella ripetizione fine a se stessa. 

Le ripetizioni, un aspetto che viene spesso criticato alla scrittrice, mi sono sembrate utili all'economia del testo e non del tutto casuali. Mi è sembrata un tipo di tecnica preparatoria alla dimostrazione dell'abilità investigativa di Poirot. 

Assassinio sull'Orient Express, infatti, è un giallo bilanciato che non manca di colpi di scena. Oserei quasi dire che è un tipo di romanzo silenzioso, per lo meno nella prima parte in cui ad essere silenzioso è anche Hercule Poirot. Agatha Christie fa sì che il lettore possa osservare i fatti con obiettività ma coglie anche l'occasione per depistarlo. Proprio l'oggettività dei fatti, riportati da una terza persona e confermati, sotto un ambiguo silenzio, da Poirot, fanno sì che il lettore si affidi e si fidi completamente del narratore. 


La Christie bara fino alla fine e si diverte, perché la soluzione è banale ma viene portata al lettore nel corso del romanzo con imbrogli e depistaggi. 

Con un tipo di scrittura semplice e direi anche educata - ricordiamoci che la Christie è pur sempre british - l'autrice riesce ad inserire anche un discorso morale molto profondo ma non pesante sulla cultura, i valori e il suo presente. Forte sostenitrice dell'età Vittoriana, Agatha Christie avrebbe voluto auspicare forse al ritorno di alcuni valori che con il tempo erano andati perduti

Non c'è bisogno di rivelare il finale per sottolineare l'importanza di questa forte critica, perché si capisce anche dal primo depistaggio al lettore: il titolo

Come ci viene spiegato da Oreste del Buono nella prefazione l'Orient Express del romanzo non è lo stesso a cui l'autrice si ispira ma una copia del nuovo secolo. Si tratta del Simplon Orient Express, datato 1919 e non 1883 come il suo predecessore. I personaggi che salgono su questa copia non sono che anch'essi la copia di una società ormai logora, in cui la giustizia, ulteriore centro di critica, non esiste.

Se leggerai il romanzo scoprirai con piacere verso chi viene indirizzata questa giustizia. Nel caso lo avessi già letto, allora avrai sicuramente capito. 

La scrittura incentrata principalmente sui dialoghi, la cornice sociale e l'ambiente, seppur poco sviluppato, in cui si svolge la vicenda mettono sicuramente in mostra la grande capacità di osservazione della realtà dell'autrice. 

L'importanza viene data all'intreccio e non ai singoli personaggi, i quali finiscono per essere delle vere e proprie pedine in mano all'autrice. La Christie non avrà costruito grandi scenari, intrecci cervellotici o personaggi molto sviluppati, ma ha saputo creare un romanzo - e non solo uno - coerente e lineare. La semplicità non sfocia sempre nella banalità e Agatha Christie ne è l'esempio.



Sullo schermo... 
La prima trasposizione sullo schermo di questo romanzo è, probabilmente, la più famosa. Si tratta della versione del 1974 sotto la regia di Sidney Lumet, con Albert Finney nei panni di Poirot e attori di grande calibro come Lauren Bacall, Ingrid Bergman, Sean Connery e Vanessa Redgrave. Non nascondo che questa è stata la versione che ho apprezzato di più e per varie ragioni. 
Prima tra tutte, la fedeltà al libro: si sa che spesso e volentieri le trasposizioni cinematografiche di romanzi, per rispondere ad esigenze legate ad un altro tipo di "messa in scena", perdono le parti più importanti del libro. Non è questo il caso, per fortuna, perché questo film segue con attenzione ogni particolare del libro e rispetta, a mio parere, anche il tono che Agatha Christie gli ha dato. 
Come ho già scritto, infatti, la rappresentazione dei fatti nei romanzi dell'autrice inglese è molto semplice, non pretenziosa e molto lineare. Ho apprezzato moltissimo che nel film si sia rispettata la semplicità originaria del romanzo
Un'altra caratteristica a favore sono i personaggi: Albert Finney nei panni di Hercule Poirot è perfetto, rappresenta egregiamente l'investigatore belga rimanendo fedele a tutte le caratteristiche che lo hanno fatto entrare nell'immaginario comune: baffi sempre curati, panciotto di chi adora mangiare buon cibo, attenzione discreta e non invadente per i dettagli e l'immancabile ironia che lo caratterizza.

Il secondo film che ho visto fa parte della serie televisiva Poirot del 2010 e mi ha delusa sin dalle prime battute. La causa principale sta sicuramente nella durata, 90 minuti, troppo breve a confronto con la versione del '74 di più di due ore. Il taglio è stato fatto per esigenze più che comprensibili visto il contesto di distribuzione del film, ma ha causato dei buchi abbastanza importanti nella trama che non mi sono piaciuti. 
Il problema, paradossalmente, è che questi tagli hanno reso il resto delle scene estremamente noiose perché silenziose e troppo lunghe. Anche il tono dell'intero film non aiuta la fruizione, vista la cupezza e la pesantezza di alcune scene. Il problema non si porrebbe se il film fosse una produzione indipendente dal libro, ma dal momento in cui è basato proprio su quest'ultimo mi sarei aspettata la fedeltà presente nella versione di Lumet. 
Parliamoci chiaro, i libri di Agatha Christie non hanno toni pesanti né tanto meno troppo cupi ed è proprio questa caratteristica che li rende godibili dall'inizio alla fine e che, non rispettandola, ha reso noioso il film. Inoltre, c'è un Poirot esageratamente tormentato, triste e sempre furioso con il mondo che a confronto con quello del libro sembra un nuovo personaggio di zecca. 
Ma arriviamo a ciò che mi è piaciuto di meno, il finale: ti renderai conto leggendo il romanzo che il finale ha un senso specifico ed è ben organizzato, soprattutto rispetto a quel discorso sulla giustizia di cui ho parlato qualche riga fa. Nel film questo senso viene completamente stravolto e il finale allungato seguendo la solita scia di pesantezza che non fa per niente giustizia al romanzo. 

Aspetto con ansia un'altra versione cinematografica che uscirà in Italia a dicembre, sotto le regia di Kenneth Branagh (che intrepreterà proprio Poirot). Ti farò sapere a tempo debito.

Grazie per avermi letto di nuovo, alla prossima!

Francesca, Le ore dentro ai libri.

martedì 10 ottobre 2017

ottobre 10, 2017

#PiccoleLetture

Buongiorno lettore! Mentre stavo finendo di preparare le recensioni in programma per il blog ormai da settembre, ho deciso di dare il via ad un piccolo progetto a cui penso da un po' di tempo.

Oggi inauguro la rubrica #PiccoleLetture, un resoconto di lettura di piccoli libri da portarsi in borsa o nello zaino e che non occupano spazio. Perfetti per chi ha bisogno di una lettura veloce e di poco peso da portare con sé.



E' nato tutto grazie ad una casa editrice che ho scoperto per puro caso e con grande piacere su Instagram e dalla quale spero di non staccarmi mai. Parlo di ABEditore, una piccola fonte di letture piena di sorprese per i lettori desiderosi di un'esperienza libresca particolare e diversa dal solito. La collana di libri Piccoli Mondi, infatti, propone libri in formato tascabile e non scherzo quando dico che in tasca ci entrano sul serio. Perché non riproporre un'esperienza simile anche a te, lettore o lettrice, in modo da farti conoscere non solo questa casa editrice ma anche altre che si sono cimentate coraggiosamente in questo tipo di progetti?

Nella mia esperienza di lettura di quest'anno ci sono stati molti libri piccoli che non ho recensito e questa è l'occasione perfetta per dare anche a loro l'occasione di essere visti.

Le piccole letture di oggi sono le seguenti:
  • Minima. 7 racconti neri e uno bizzarro, Edgar Allan Poe (ABEditore)
  • L'arte di fabbricare libri, Washington Irving (Elliot)
  • Granito e arcobaleno, Virginia Woolf (Nuova Editrice Berti)
  • L'ignoto ignoto, Mark Forsyth (Laterza)
  • Un omicidio, un mistero e un matrimonio, Mark Twain (Elliot)
I racconti di Edgar Allan Poe sono sempre intramontabili, ma l'esperienza di lettura diventa ancora più interessante se "inscatolata" nel modo giusto. ABEditore non delude mai e non l'ha fatto nemmeno con questo terzo volume della collana Piccoli Mondi.
 Il contenitore di questi racconti introduce il lettore alla tematica che lo accompagnerà durante la lettura e anticipa le fantastiche illustrazioni sparse per le pagine. Paurosamente illustrato, ed è proprio così. I racconti di Poe scelti per questa raccolta non sono casuali e potrebbero essere raggruppati per tematiche comuni che si ripetono con originalità e con meccanismi diversi in ogni racconto. Terrore, assurdità, ossessioni e donne morenti -un aspetto fondamentale nella narrativa dello scrittore americano- sono solo una parte dei racconti presentati e illustrati dalla casa editrice.
 La narrazione è, nel complesso, omogenea ed equilibrata, anche se con Poe non bisogna mai abbassare la guardia e credere a tutto ciò che ci viene raccontato.
 Questa è una raccolta completa sotto ogni punto di vista e un ottimo spunto per iniziare a leggere Edgar Allan Poe. Racconti a portata di mano.

Continuiamo con un libricino acquistato a Libri Come agli inizi di quest'anno. L'arte di fabbricare libri di Washington Irving è stato il primo della serie Elliot che ho acquistato. Il titolo è già abbastanza esplicativo e riassume il tema principale sviluppato in poco più di quaranta pagine. Non avendo mai letto Irving, non posso dirti se i tre saggi contenuti in questo libricino rispecchino o meno il suo stile, ma ti assicuro che mi sono piaciuti molto.
Tutti e tre i saggi hanno come oggetto i libri e gli scrittori, perciò il titolo, più che indicare la fabbricazione materiale mette l'attenzione sulla parte creativa della realizzazione dei libri. Non parlerei propriamente di saggi, però, perché Irving non cede mai alla tipica e a volte pesante scrittura saggistica, fatta di elucubrazioni di difficile comprensione. L'autore opera nel modo migliore per attirare l'attenzione del lettore e fa le sue riflessioni sotto forma di racconto, sogno o immaginazione. Insomma, una produzione creativa a tutti gli effetti.
 Nel primo saggio, infatti, da cui prende il nome la raccolta, Irving si fa osservatore di alcuni scrittori all'opera nella British Library di Londra, descrivendone e immaginandone caratteri e stili di creazione, per poi finire addormentato. Il sogno rivela una metafora interessante sul mondo della scrittura.
 Nel secondo, "Sulla mutevolezza della letteratura", si continua con una riflessione sull'immortalità della letteratura che Irving mette in scena attraverso un dialogo surreale con un libro molto antico.
 Nel terzo ed ultimo saggio, "Gli scrittori inglesi e l'America", Irving cerca di riappacificare le due nazioni divise da un astio letterario reciproco. Da una parte l'Inghilterra che denigra qualsiasi creazione letteraria americana e, dall'altro, gli Stati Uniti che rispondono con altrettanta denigrazione. Con umiltà, spirito critico -e autocritico- e grande scioltezza l'autore cerca di smuovere la coscienza di entrambe le parti per evitare inutili e infantili rappresaglie.



Con Virginia Woolf il discorso si fa più particolare e sono costretta, inevitabilmente, a chiamare saggi gli scritti contenuti in Granito e arcobaleno. Pubblicata postuma dal marito Leonard, questa raccolta inedita -al tempo- mostra una Virginia Woolf sempre più legata al mondo culturale e letterario della sua epoca. L'edizione della Nuova Editrice Berti offre un assaggio dell'intera raccolta, composta da 25 saggi, dando al lettore la possibilità di approfondire la famosa autrice inglese attraverso 6 saggi critici incentrati su arte e letteratura.
 Ho trovato questa raccolta interessante e illuminante sotto molti punti di vista, primo tra tutti la grande cultura e interesse della Woolf per il mondo letterario dell'epoca. Dagli scritti si evince un atteggiamento molto attivo all'interno di una realtà culturale nella quale la Woolf si inserisce a tutti gli effetti e ne critica aspetti positivi e negativi.
 Ne "La nuova biografia", l'autrice mette in mostra l'atteggiamento di molti scrittori, a lei precedenti o contemporanei, nei confronti di questo genere letterario. La raccolta continua con una spiegazione -o lezione- sulla critica letteraria, in cui la Woolf prende come esempio per il suo esercizio parte dell'opera di Hemingway. Seguono altri quattro saggi che hanno come protagonisti rispettivamente Walt Whitman, il percorso dell'arte dal passato fino alla contemporaneità, l'importanza della lettura e il rapporto tra il romanziere e l'elemento che ispira i suoi romanzi, la vita.

Il libro più piccolo di questa rassegna è sicuramente L'ignoto ignoto di Mark Forsyth, edito Laterza. Ad un prezzo vantaggioso (due euro), questo libricino spiega uno dei concetti più banali e mai presi in considerazione del trovarsi in libreria. Il sottotitolo è esplicativo: le librerie e il piacere di non trovare quello che cercavi. Una volta lette queste ventisei pagine chiuderai il libro e ti dirai che è proprio così che succede, entrare in libreria con o senza un obiettivo preciso e trovare proprio quello che non cercavi ma che ti serviva. La casualità e il piacere della scoperta sono il punto di partenza di Forsyth in questa analisi molto ironica e divertente sul mondo dei libri.
 L'autore si sofferma in particolare sulla capacità di apprezzare l'inatteso e su quanto poco molte librerie si concentrino proprio su questo aspetto. Ma, a sua detta, "in una Buona Libreria tutti i libri sono buoni" e "l'ignoto ignoto, ciò che non sapevi di non sapere è lì che ti aspetta in fondo alla libreria". Un libro che consiglio a tutti i lettori ma anche a librai intraprendenti e curiosi!

Giungiamo all'ultimo libro della rubrica, Un omicidio, un mistero e un matrimonio di Mark Twain. Si tratta di un racconto di una sessantina di pagine a cui l'editore ha aggiunto alcune simpatiche illustrazioni in bianco e nero e parti del manoscritto originale.
 Devo ammettere che questa è stata una lettura un po' noiosa, poco originale ma tutto sommato scorrevole. La storia porta in scena un misterioso forestiero giunto dal nulla che viene ritrovato nella neve da John Gray, della città immaginaria di Deer Lick. Il suo arrivo sconvolgerà completamente l'equilibrio della cittadina e dei suoi abitanti, in particolare della figlia di Gray, Mary. La conclusione è, probabilmente, la parte più interessante del racconto perché narrata dal forestiero -del quale alla fine viene svelata l'identità e il motivo del suo arrivo- in prima persona.
 Il resto del racconto, in terza persona, mi ha appassionata poco perché la narrazione mi è sembrata un po' troppo veloce riguardo gli avvenimenti e alcune parti le ho trovate alquanto banali. Il personaggio più delineato ed interessante è, senza ombra di dubbio, il forestiero perché imbevuto di una malvagità sottile che si manifesta a piccole dosi. Gli altri personaggi sembrano, invece, esser stati lasciati volutamente sullo sfondo, particolare che mi ha lasciata un po' delusa.
 Per il resto, è un racconto che si legge velocemente e non ha bisogno di grande coinvolgimento e/o concentrazione. Mi è dispiaciuto non essere riuscita ad apprezzarlo di più, ma non tutto può piacere allo stesso modo.

La prima parte finisce qui, ti aspetto presto per altre recensioni e la seconda parte di #PiccoleLetture.

Buona giornata,
Francesca, Le ore dentro ai libri.

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